Mitia
Quando sono nato, in famiglia c’era già Mitia, un pastore abruzzese che i miei genitori avevano deciso di adottare sei anni prima durante una gita al Sud e di portare con loro a Milano.
Purtroppo Mitia sviluppò una forma di patologia articolare che obbligò i miei genitori alla triste decisione di sopprimerlo. Da allora il mio desiderio di vivere con un altro cane si è scontrato con la paura di provare di nuovo un dolore così grande, e non ci sono stati più cani in casa nostra.
O forse dovrei dire cani «residenti», perché qualche anno dopo, durante una scampagnata domenicale, trovai un piccolo cucciolo nero sotto una macchina abbandonata che mia zia decise di adottare e chiamare Corto Maltese.
Corto Maltese e Blu
Corto fu il primo cane con cui ebbi il privilegio e il piacere di interagire veramente da bambino e se, ancora oggi, non posso fare a meno di apprezzare, in maniera del tutto discutibile, il tipico odore del cane bagnato in macchina, lo devo a lui e ai sedili in vinile della Renault 4 di mia zia.
Quando Corto venne a mancare fu il turno di Blu, una femmina che la zia adottò da un allevatore che l’aveva scartata perché menomata a una zampa, ma che, a dispetto della sua zoppia, seppe conquistare il mondo attraverso un’intelligenza comunicativa davvero rara.
Insomma, in famiglia i cani non sono mai mancati, ma continuavo a pensare che averne uno tutto mio da accudire e con cui divertirmi ogni volta che lo desiderassi sarebbe stata tutta un’altra cosa.
La conferma definitiva arrivò quando, in seguito a un imprevisto, dovetti tenere Blu per diverso tempo occupandomi in tutto e per tutto di lei. Fu un’esperienza incredibile che, nonostante la fatica dovuta ai nuovi ritmi e alla perdita di certe libertà, mi lasciò folgorato.
Il canile
Non interessandomi una razza in particolare e non comprendendo perché si dovesse pagare una cifra spropositata un cucciolo, quando ci sono migliaia di ospiti nei canili in attesa di adozione, decisi di recarmi in diversi rifugi.
Fu così che per la prima volta mi avvicinai seriamente a una realtà che non conoscevo e che, senza saperlo ancora, mi avrebbe influenzato per il resto della vita: il canile.
Kaya
Adottai Kaya dal rifugio presso cui era ospite da cinque mesi, dopo aver trascorso i primi sette della sua vita tra uno sgabuzzino in compagnia del fratello e il cortile di uno sfasciacarrozze a fare la guardia con i suoi genitori, una femmina di cane corso e un grosso cane da pastore. Dopo Mitia ecco un altro mix perfetto per una prima esperienza di convivenza con un cane in un piccolo appartamento di Milano!
Una volta uscita dal canile, dove l’avevo vista giocare amichevolmente con i volontari, Kaya si trasformò completamente: era terrorizzata dal mondo che la circondava. Ogni cosa, anche la più insignificante, era per lei una novità in grado di scuoterla emotivamente al punto da iniziare a tremare e ad ansimare.
Sognavo di andare a correre con Kaya, ma appena accennavo un passo di corsa lei si allontanava spaventata. Sognavo di ricevere feste gioiose al mio rientro, ma per molto tempo mi sono dovuto accontentare di scodinzolate appena accennate e qualche improvvisa arricciatura di labbra. Sognavo di insegnarle esercizi e di giocare con lei, ma appena la liberavo nel parco volava come il vento verso gli altri cani, unico oggetto delle sue attenzioni. Insomma, non che avessi desideri così originali o assurdi, anzi, credo che fosse più o meno ciò che sognano tutti quelli che adottano un cane, eppure le cose non stavano andando come speravo.